La Corte di Giustizia dell’UE con la recente sentenza del 12.09.2019 (causa C -104/18P) ha chiarito il significato di “malafede” al momento del deposito di un marchio che legittimi una domanda di nullità assoluta.
In particolare la Corte di Giustizia ha annullato la decisione del Tribunale UE (EU: 2017:853) con il quale questa aveva respinto un ricorso di nullità per malafede commettendo un errore di diritto nel considerare che l’esistenza della malafede presuppone unicamente che il marchio controverso sia registrato per prodotti e servizi identici o simili.
La Corte ha ritenuto che il Tribunale avrebbe dovuto valutare altre circostanze pertinenti, come la conoscenza da parte del richiedente dell’utilizzo di un segno simile/identico nel mercato da parte di un terzo o anche l’esistenza di relazioni commerciali tra il ricorrente ed il richiedente il marchio controverso poi interrotte.
La Corte ha, altresì, chiarito che quando una nozione presente nel regolamento UE non è definita dallo stesso, la determinazione del suo significato e della sua portata deve essere effettuata conformemente al suo significato abituale nel linguaggio corrente, tenendo conto del contesto nel quale detta nozione è utilizzata e degli obiettivi perseguiti da tale regolamento (v., in tal senso, sentenze del 14 marzo 2019, Textilis, C‑21/18, EU:C:2019:199, punto 35; v., per analogia, sentenze del 22 settembre 2011, Budějovický Budvar, C‑482/09, EU:C:2011:605, punto 39, e del 22 marzo 2012, Génesis, C‑190/10, EU:C:2012:157, punto 41).
Ciò vale anche per la nozione di «malafede» di cui all’art. 52 lett.b dell’allora regolamento 207/2009 (ora trasfuso nella articolo 59, paragrafo 1, lettera b) del regolamento n. 1001/2017, in mancanza di ogni definizione di tale nozione da parte del legislatore dell’Unione.
Mentre, conformemente al suo significato abituale nel linguaggio corrente, la nozione di «malafede» presuppone la presenza di una disposizione d’animo o di un’intenzione disonesta, tale nozione deve essere interpretata nel contesto del diritto dei marchi, che è quello del commercio. A tale riguardo, i regolamenti n. 40/94, n. 207/2009 e 2017/1001 adottati uno in seguito all’altro perseguono un medesimo obiettivo, vale a dire l’istituzione e il funzionamento del mercato interno (v., per quanto riguarda il regolamento n. 207/2009, sentenza del 27 giugno 2013, Malaysia Dairy Industries, C‑320/12, EU:C:2013:435, punto 35). Le norme del marchio sono dirette in particolare a contribuire al sistema di concorrenza non falsato dell’Unione europea.
Pertanto, il motivo di nullità assoluta costituito dalla “malafede” si applica laddove emerga da indizi pertinenti e concordanti che il titolare di un marchio dell’Unione europea ha presentato la domanda di registrazione di tale marchio, non con l’obiettivo di partecipare in maniera leale al gioco della concorrenza, ma con l’intenzione di pregiudicare, in modo non conforme alle consuetudini di lealtà, gli interessi di terzi, o con l’intenzione di ottenere, senza neppur mirare ad un terzo in particolare, un diritto esclusivo per scopi diversi da quelli rientranti nelle funzioni di un marchio. Ogni allegazione di malafede deve quindi essere valutata globalmente tenendo conto dell’insieme delle circostanze nel caso concreto, solo in tal modo la allegazione di malafede può essere valutata oggettivamente.
In conclusione, la Corte di Giustizia UE ha dichiarato che il Tribunale UE si era astenuto dal prendere in considerazione, nella sua valutazione globale, tutte le circostanze di fatto pertinenti, quali si presentavano al momento del deposito della domanda, pur se tale momento era determinante, escludendo la malafede sull’errato assunto che non esistesse identità dei marchi anteriore.

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